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Luca Carboni è tra gli artisti italiani simbolo di un’epoca. Uno di quelli che mentre guidi verso il luogo dell’intervista, ti fa venire voglia di inchiodare e pensare: ‘Sto veramente per incontrare Luca Carboni? Quello di Mare Mare e Ci vuole un fisico bestiale?’ Lo abbiamo incontrato in occasione del firma copie per il suo nuovo album Sputnik. Ad attenderlo una fila consistente di persone, tra vecchie e nuove generazioni. Perchè il suo nuovo progetto possiede quel misto di sonorità in grado di creare le condizioni spazio-temporali adatte, affinchè venga ascoltato da più utenti appartenenti a diverse epoche insieme.

Entriamo nell’ufficio che ci viene concesso, l’artista bolognese si siede all’altro capo della scrivania. Cordiale, quasi timido, decide di tenere gli occhiali da sole, ma non si tratta di scortesia, probabilmente tenta di non mostrare gli effetti dell’intenso tour negli store che sta affrontando. Mani giunte e si inizia a chiacchierare.

La prima domanda riguarda il titolo dell’album, Sputnik, e la scelta di disegnarne personalmente la copertina.

Sputnik è una parola dura, quasi punk, con la K. Mi ricorda gli inizi con la mia band, ma nello stesso tempo ha un significato molto dolce. Vuol dire compagno di viaggio. E’ anche il primo satellite mandato nello spazio. In qualche modo nel ’57 si è inaugurata l’era che stiamo vivendo. Senza satelliti non saremmo dove siamo ora. Questo album lega passato, presente e futuro.

 

Si tratta di un album che contiene una delle sue più importanti definizioni nel titolo di una delle nove tracce che lo compongono. Sputnik è veramente una grande festa, ma la scelta di strizzare l’occhio a melodie ben note alla carriera di Luca Carboni, non è dettata dall’intenzione di sfociare nella malinconia.

E’ una grande festa già solo per essere riuscito a presentare il disco dopo un lavoro durato un anno e mezzo, ma non c’è tanta nostalgia. Un paio di brani giocano guardando al passato, facendo dei confronti.

Tu dimmi cosa resterà dei nostri tentativi di sembrare umani, dei nostri tentativi di sembrare belli, per poi assomigliare a degli alieni? Sono i primi versi di uno dei brani ai quali si riferisce l’artista: Ogni cosa che tu guardi.

Un altro viaggio indietro nel tempo, Carboni se lo concede nel brano I film d’amore: Alexander Platz e il muro a Berlino est/per me quell’estate non è finita mai.

In Sputnik troviamo anche alcune collaborazioni con nuovi autori italiani. Io non voglio è il brano realizzato insieme a Calcutta; Prima di partire porta la firma di Giorgio Poti; L’alba è stata scritta con Gazzelle.

Sono andato ai loro concerti, mi sono piaciuti i loro dischi ed è nata l’idea di aprire l’album anche a questa nuova esperienza.

E’ un  disco in cui ci si scontra con la difficoltà di tenere fermi i piedi. L’unico momento di quiete arriva alla fine, con la title track dell’album, un attimo prima di trasportarci al capolinea del viaggio all’interno del satellite pilotato da Luca Carboni.

Di seguito, il podcast per riascoltare l’intervista a Luca Carboni.

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